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Compagno di Gioventù

Bella Ciao
Bella Ciao

Lo conobbi adolescente, in pan­taloni corti, allorquando frequen­tava il circolo giovanile socialista.

Fu tra i primi, dopo il congresso di Fiesole, ad aderire ai giovani comunisti.

I suoi studi lo portarono a Jesi prima, e a Macerata poi, ove af­frontò ben presto e coraggiosa­mente le prime persecuzioni. Ac­cusato di non si sa quali tene­brose attività, dovette tosto ab­bandonare quella città, a seguito di una aggressione.

Ritornò a Fabriano coi segni delle violenze subite che si studiò di tener nascoste ai suoi, per non allarmarli. Ma non poteva nascon­derlo a me ; e mostrandomi una mano contusa, sorrideva e quasi si vergognava di aver dovuto rea­gire per legittima difesa.

Durante le vacanze lo ricordo tutto intento ad approfondire i pro­blemi del partito ; insieme lavo­rammo per la costituzione di un comitato di unità proletaria. Co­struimmo anche un rudimentale poligrafo col quale stampammo i primi foglietti volanti ed i mani­festini di propaganda che tanto da fare procurarono alla polizia ed ai fascisti incaricati di strap­parli dai muri !

Le sue vicende e le necessità de’ suoi studi lo portarono ad Urbino nella mansione di prefetto di quel collegio per fronteggiare alle spese della vita di studente. Più tardi a Roma, inscritto al­l’Università, rubava qualche ora allo studio, per partecipare alle riunioni operaie ; ebbe cosi modo di conoscere a più riprese le guar­dine della capitale e il bastone fascista. Ebbe la fortuna di avvi­cinare il nostro grande maestro scomparso Granisci di cui seguì alcune lezioni.

A diciannove anni scriveva sull’Unità e ben mi rammento un suo articolo sulla questione agraria che ebbe l’onore della prima pagina.

Al terzo anno di Università la polizia lo arrestò nella stessa sala universitaria ed inviato al confine a Lagonegro in provincia di Cosenza dove conobbe diversi com­pagni nei due anni di permanenza. Ritornò con l’ammonizione, ma a Fabriano venne nuovamente fer­mato e portato all’Isola di Lipari per tre anni durante i quali compì i suoi studi professionali, non meno che la sua preparazione politica, in mezzo ai compagni di sicura fede. Diede gli esami di laurea a Messina riportando pieni voti e lasciando tra i professori e gii studenti un’incancellabile ricordo di stima e di simpatia.

Sotto le armi non gli fu con­cesso il corso di ufficiale ; ma gli ufficiali lo predilessero ed i sol­dati io amavano come un compa­gno di doti superiori.

Riflessivo, studioso, pieno di esperienza acquisita nel sacrificio e nella lotta, si presentò nell’ultima primavera della sua vita, come il maestro ideale della nostra gioventù fabrianese. E come tale si comportò fino all’estremo sa­crificio, assurgendo alla schiera eletta dei martiri e consacrando il suo nome all’eternità.


CURRICULUM VITAE

Nella modesta casa di "Nino", il sarto, nasceva il 2 ottobre 1905 un bimbo a cui veniva per simbolo imposto il nome del grande Engels.

A tre anni l’educatore Quagliani gli impartiva i primi elementi della vita. Per capacità ed atti­tudine inusitate allo studio, a 6 anni frequentava già con profitto la seconda elementare. Poco amante dei giuochi, adorò invece i libri. Il maestro Marcellini lo trasse nella sua biblioteca per assecon­dare l’amore al sapere; rincasando si metteva a sfogliare i pochi libri della modesta biblioteca pa­terna. La quarta classe fu la pe­dana di lancio che lo portò ado­lescente nel ginnasio. Fu nel­l’epoca degli studi ginnasiali che fece i primi passi nella vita po­litica, partecipando alle manife­stazioni operaie ed antifasciste. La passione politica non lo distolse dallo studio, che anzi animato da una tenace volontà di conoscere applicò la tecnica del sapere alla prassi della vita politica.

L’attrazione alle scienze natu­rali specialmente all’anatomia, gli fece nascere il desiderio di diven­tare medico. Infuriava in quegli anni la reazione squadrista ed egli partì per Macerata legandosi ivi con gli ambienti antifascisti.

Qui incomincia la lotta aperta contro il fascismo. Perquisizioni, arresti, falsa imputazione di aver ferito il federale di Macerata.

Tradotto in carcere, viene ba­stonato e seviziato, ma la sua in­nocenza riconosciuta. Liberato, è fatto segno a nuove aggressioni; in uno scontro disarma uno squa­drista del manganello che lo ri­porta agli amici, come un trofeo.

Colto in casa viene di forza portato ai giardini pubblici ove egli sfida il più forte a misurarsi con lui. Ben quindici manganellatori lo assalgono contempora­neamente e lo stendono svenuto al suolo. Portato alla sede, l’ob­bligano a trangugiare una forte dose di olio minerale. Il giorno dopo, l’ordine di lasciare la città entro le ventiquattro ore. S’inizia il calvario. Tronca gli studi; vola ad Urbino per trovarsi un posto di precettore e poter continuare come privatista. In incognito si presenterà a Macerata alla fine dell’anno per sostenere gli esami, splendidamente superati. L’ultimo anno di liceo lo passerà a Jesi ove alcuni fascisti fabrianesi lo perseguiteranno perché il 1° maggio organizzava la festa del lavoro.

Inscritto a Roma alla facoltà di medicina,passerà il suo tempo fra gli studi e la politica.

Qui conobbe il maestro Gramsci e ne seguì alcune lezioni. Apprezzato per la fede e vivacità d’ingegno,viene sollecitato a collaborare con l’Unità.

Scoperto fra operai in una riunione clandestina viene arrestato, bastonato.

Nel quarto anno di università, votate dal regime le leggi speciali, è una delle prime vittime; spedito a Cosenza pel confino parte il giorno di Natale "con una pagnotta e due poliziotti".

A Lagonegro, incontra amicizie, intensifica la sua attività. Gli viene però commutato il confino con la vigilanza; potrà quindi rien­trare a Roma; ma durante le va­canze, tornato a Fabriano, i fa­scisti locali lo denunciano e lo faranno destinare per tre anni al­l’isola di Lipari.

Nel gennaio del 1929 fu con­dotto a Messina per gli esami di laurea riusciti a pieni voti e quindi ricondotto all’isola per finire di scontare la pena che gli venne prolungata perché non aveva dato prova di ravvedimento.

Ritenuto indegno di vestire il grado di ufficiale, rispose alla leva quale semplice soldato; ma la sua forte intelligenza e capacità pro­fessionale, lo distinsero anche fra gli ufficiali medici.

Congedato qui a Fabriano do­veva attenderlo altre persecu­zioni e difficoltà create dai fascisti; dovette accontentarsi del posto di interino a Fossato, dove si gua­dagnò stima ed ammirazione da parte della popolazione di quella zona. Qui nella sua città gli venne negata la richiesta di frequentare l’ospedale per il perfezionamento a cui agognava.

Solamente nel 1931, ottenne l’abilitazione all’esercizio; ma era privo di tutto. Il matrimonio, in­sieme all’affetto della sua com­pagna ed alla gioia dei gemelli Enzo e Aldo, gli offrì il modo di potere allestire un gabinetto col quale poté dimostrare il suo valore professionale.

Il fascismo non gli diede pace, ma anche egli lo affrontò con tutto il fervore dell’animo e della fede indomita.

Nel 1941 fu mandato a Pola richiamato col grado di tenente medico a reggere quel dispensario antitubercolare. Ritornò a Fabriano subito dopo la caduta del fascismo.

Da allora si votò alla lotta tenace, disperata, contro i distruttori dell’Italia. Organizzazione, propaganda, stampa, comitato di liberazione, movimento partigiano e finalmente l’olocausto della vita.

Prima del sacrificio, sopportò sevizie, scherni, bastonature. La sua bocca si chiuse nel silenzio.

La morte lo liberò dall’incubo e consegnò il suo nome all’immortalità.


VITA DI ENGLES PROFILI

II 2 ottobre 1905 la modesta casa di "Nino" Profili, sarto, veniva allietata dalla nascita di un bimbo.

La gioia della famigliola si comunicò all’autunno piovoso e triste, che s’irradiò, compiacente, di augurale, tiepido sole. Il padre volle chiamarlo Engels, simbolo di una fede, sintesi ed aspirazione della vita sua, missione e sacrificio per Colui cui veniva imposto.

L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

Buono, rispettoso, ubbidiente, Engles si manifestò un po’ chiuso, sempre riflessivo, sopratutto reticente a far conoscere ai cari i propri dolori e dispiaceri.

A tre anni incominciò a frequentare la scuola privata dell’educatore Quagliani, ove rimase sino all’età’ di sei anni.

Per la capacità e l’attitudine dimostrata, per il profitto che seppe trarre da questi primi insegnamenti, passò in seconda classe elementare, già tanto desideroso di apprendere, animato da continua ansia di ricerca.

Adorò i libri sin dall’inizio. Restava per ore a contemplare quelli che componevano la modesta biblioteca del padre , dilettandosi di sfogliarli; e questa occupazione lo distoglieva dal giuoco.

Il suo primo maestro, Marcellini Venanzo, socialista, riconoscendo in lui buona volontà, passione, forte intelligenza, lo volle con se nella sua libreria. Quivi Engles passò quasi tutte le ore di svago a fantasticare in mezzo a tanto sapere, dimostrando dedizione al lavoro.

Così passarono i suoi primi anni di scuola, veloci da una promozione all'altra, sempre a pieni voti.

La 4a elementare fu pedana di lancio; ed eccolo fare ingresso al Ginnasio, precoce adolescente, mentre altri erano fanciulli.

Furono anche i Suoi primi passi nella vita politica, allorquando partecipava a riunioni, manifestazioni di partito, con l’atteggiamento di chi comprende, calmo in apparenza, entusiasta nel fondo del cuore. E dimostrò di avere appreso il giorno in cui invitò il fratello, di poco maggiore, alla calma, di fronte ai carabinieri che tentavano di sciogliere il corteo, dopo un comizio di protesta, al quale avevano accompagnato il padre. Dimostrò di avere appreso, durante le giornate della Settimana Rossa.

Né la passione politica, che nasceva in lui, lo distolse dallo studio. Fu amato dai professori e meritò sempre lodevoli votazioni.

Coi compagni di scuola, pur se taciturno, docile, affettuoso, si dimostrava all'occorrenza deciso, reagendo anche con vigore ad ogni sopruso. Caratterizzò la sua indole una grande generosità d’animo.

Animato sempre da tenace volontà, rifiutò di studiare per conseguire il diploma da maestro, conservando la manifestata intenzione di divenire medico, anche se comprendeva i sacrifici che il padre avrebbe dovuto sostenere, pei quali dimostrò sempre onorevole, riconoscente sollecitudine, come sconfinato affetto ebbe pei genitori.

In occasione del primo arresto del padre (1916) dette ampia prova di questo suo amore.

LA GIOVINEZZA

A quattro anni di distanza da questa data, partì per Macerata quando già infuriava la reazione squadrista. Lo studio non lo distolse dall’attività politica, che iniziò intensissima, legandosi coi socialisti ed iscrivendosi agli "Arditi del Popolo". Riunioni, comizi, lotta aperta coi fascisti.

Alle perquisizioni della complice polizia, seguì l’arresto sotto l’imputazione di aver pugnalato il federale fascista di Macerata.

Tradotto in carcere, per via sorrideva ai compagni ed agli amici, pur avendo in tasca una rivoltella, che riuscì a consegnare con mossa rapidissima e sangue freddo ad un compagno, sulla soglia della prigione.

Agli interrogatori e alle sevizie rispose con fermo silenzio. Il Giornale dimostrò la sua innocenza, e, assolto, potè riprendere la sua attività che non si limitava a sola propaganda.

In uno scontro con i fascisti riuscì ad impadronirsi di un “manganello”,che quasi trofeo, orgoglioso, volle conservare.

Aderì più tardi alla corrente comunista, mentre i fascisti, a Roma pugnalavano definitivamente la democrazia.

Colto in casa una sera, dai fascisti fu condotto nei giardini pubblici della città che lo ospitava e, quivi, sorridente accettò la sfida di battersi con uno di essi, ma fu violentemente percosso da tutti nonostante si fosse difeso strenuamente, uscendo malconcio da quell′incontro; dopo di che, portato alla sede del fascio gli venne somministrata una forte dose di olio di macchina.

Il giorno dopo gli fu dato il bando, con intimazione di lasciare la città entro le 24 ore. Dovette troncare gli studi e iniziò il calvario.

PERSECUZIONE

Con il solito sorriso disinvolto ed allegro salutò alla Stazione di Fabriano il povero padre preoccupato della sorte a venire di lui.

Era questa la particolarità del suo carattere: fermezza e quasi noncuranza del pericolo, unita tuttavia a forte senso di responsabilità.

Dovete allontanarsi da Fabriano per poter continuare gli studi interrotti. A Urbino, durante l’estate, fu precettore e, contemporaneamente studiò con alacrità per recuperare quello che era stato costretto a perdere.

Ritornò a Macerata per sostenere gli esami e si dovette nascondere come ladro per non subire nuove angherie da quei fascisti, e soprattutto per non compromettere ancora l’esito dei suoi studi.

L’ultimo anno di liceo lo frequentò a Jesi, ove non mancarono reiterate perquisizioni, per quanto affievolita l’azione dei fascisti contro di lui. Furono dei fabrianesi che in quella città lo molestarono, specie dopo il 1° maggio, giorno in cui disertò la scuola per principio e solidarietà con i lavoratori.

Riuscì tra i primi alla maturità finalmente realizzata, sogno che fin da ragazzo lo aveva allettato: iscriversi alla facoltà di Medicina.

A Roma iniziò per lui una vita politica intensa e di soddisfazione. Frequentò corsi di cultura tenuti dal suo del Partito Granisci, fu accanto agli uomini politici più in vista di quell′epoca, da tutti stimato per le sue capacità. Il giornale Unità gli pubblicò diversi articoli, di cui uno al posto d’onore in prima pagina sulla questione agraria.

Sorpreso una sera in mezzo a dei compagni che cantavano Bandiera Rossa, fu tradotto in carcere, bastonato a sangue, ma non parlò. Dopo tre giorni, ancora nelle condizioni in cui era stato ridotto la prima sera, venne rilasciato, per intervento del fratello, al quale tuttavia rimproverò la troppa loquacità. Da allora vessazioni continue.

Il quarto anno d’Università vide sorgere le Leggi Speciali di repressione: venne arrestato e fu tra i primi ad essere confinato.

Venne condotto in Ancona, mentre il padre, ignaro, subiva un lungo arresto a Fabriano. Sommariamente processato venne condannato a tre anni di confino a Lagonegro di Cosenza.

Di passaggio a Fabriano salutò i familiari sorridente e giunse a destinazione, dopo avere trascorso, come scrisse, il giorno di Natale in treno "con una pagnotta e due poliziotti".

A Lagonegro si intensificò la sua attività: Soccorso rosso, contatti con il compagno Falabella Domenico, in collaborazione con la compagna Anita Pusterla e con il compagno avv.Giovanni Rinaldi da Spezzano (albanese)

Gli venne commutata la pena con due anni di libertà vigilata e potè tornare a Roma. Ma durante la sua permanenza estiva a Fabriano, mentre faceva pratica in Ospedale, venne di nuovo arrestato e condannato a tre anni di confino all’isola di Lipari.

Nel gennaio 1928 fu condotto a Napoli per gli esami: lo Sposalizio del principe ereditario consigliò la polizia di portarlo a Messina dove il 7 novembre 1929 si laureò a pieni voti con una tesi in Medicina legale sulla ricerca dei Gruppi sanguigni con il Prof. Vittorio Siracusa che sempre lo ricordò tanto da dedicargli, a guerra finita, un’aula del suo Istituto.

Dopo la laurea fu ricondotto a Lipari a scontare il resto della pena. Per la sua costante attività politica fu processato al termine del confino e sarebbe stato di nuovo condannato se non fossero mancate prove. La pena, comunque, fu prolungata di qualche mese.

Chiamato alle armi gli venne negato il titolo di Ufficiale medico per la sua attività antifascista e fu soldato di fanteria a Catania. Soltanto dopo il Primo Campo gli Ufficiali medici che presero a stimarlo gli permisero di espletare le sue funzioni di medico.

Al suo ritorno a Fabriano gli si presentò dinanzi un avvenire durissimo. Non potè concorrere per occupare condotte; soltanto fu accettato come interino a Fossato di Vico, Sigillo, Costacciaro e infine a Scheggia dove seppe accattivarsi la simpatia e la considerazione di quelle popolazioni che avrebbero voluto tenerlo con loro.

Nel 1931 ottenne l’abilitazione all’esercizio professionale. Furono tuttavia anni di abbattimento; e solo nel 1933 si fece un po’ di luce, si unì in matrimonio e la famiglia gli dette tranquillità e serenità. Si trasferì con la moglie per circa due anni a Roma per frequentare l’istituto Forlanini e ottenere la specializzazione in Tisiologia (La Tubercolosi all'epoca, era una malattia diffusa soprattutto tra le famiglie meno abbienti e, fra le altre la malattia che faceva più morti). Anche a Roma veniva pedinato e controllato dalla polizia fascista.

Tornato a Fabriano, all′affetto e all’amore della moglie, che ricambiò sempre dimostrandosi con lei quello che veramene era, si aggiunse la gioia di due gemelli, pei quali lavorò intensamente.

In famiglia godette gioie che gli erano state negate, in ambulatorio dimostrò quanto valesse.

I fascisti non cessarono di perseguirlo e tormentarlo: soltanto dopo molti anni gli fu concesso di essere il medico della Cassa Mutua e soltanto perché i medici scarseggiavano.

Richiamato alle armi fu promosso Tenente e, a Pola, dove svolse l’attività militare fu chiamato, per qualche tempo, a reggere il Dispensario Antitubercolare. Mantenne sempre contatti con i compagni.

II 25 luglio fu per lui un giorno che valeva una vita. Nelle lettere che scrisse alla moglie si preannunciava quell’entusiasmo che lo portò, tra i primi, fra i combattenti per la Libertà.

Tornato a Fabriano, dopo l’8 settembre, a lui venne affidato l’incarico della guida del Partito comunista, all ‘ applicazione della cui linea politica si votò subìto. Propaganda, diffusione della stampa, riunioni di compagni,giovani, partigiani.Tutto egli volle controllare e a tutto essere presente.

La mattina del 13 aprile, mentre si recava ad un convegno, venne arrestato. Impassibile, a tutti gli interrogatori oppose silenzio e dinieghi. Si preoccupò della sorte degli altri compagni, temette per il loro arresto, pensò alla causa cui da sempre era votato e, la sera del 22 aprile 1944, venne trucidato.

Così visse e morì, eroico compagno, Engles Profili.


ENGLES PROFILI 1905

Notte buia
tetra
caligine su tutte le cose
paura stringe la gola ad ogni essere
una stra­da sopra la terra
strada dell’orrore e del dolore avvolta nell’ombra.
Nessuno sa dove ti condu­cono Engles 
un cimitero solita­rio sta per udire il tuo ultimo rantolo.
Perché ti uccidono compa­gno nostro?
Perché sei il più puro ed il più santo
uccidono Te perché vogliono uccidere l’ldea
spezzano il tuo cuore perché vogliono spezzare in Te il cuore di tutti noi.
Tu cadi sotto i colpi della mitraglia e il Tuo volto si eter­na nel sorriso in cui traspare la fiamma di un ideale che non può morire. In quel crepitìo che ha stret­to il cuore di ognuno è tutta l’apoteosi di Te e dell’Idea,
Ti abbandonano nel buio
corpo inerte
sangue infangato fuggono
ombre tremanti
odo­no il Tuo passo vindice di tutti i Martiri scandire il tempo del sole futuro.
Una donna
la tua mamma
piange e prega
un’altra donna fa eco al pianto.
Non sole piangono le Tue donne
Compagno nostro.
Partisti figlio di una madre
sposo di una sposa
torni oggi sposo di tutte le spose
figlio di tutte la madri.

Fabriano, 22 aprile 1944.


IL COMUNISTA

Poco dopo il 25 luglio, trovò un pretesto per abbandonare l’eser­cito e ritornare fra noi.

La nostra cellula, nel terzo anno di vita clandestina, entrava in crisi per alcune divergenze di giudizio sul crollo del fascismo per la mancanza di contatti col centro di Ancona e sopratutto perché eravamo privi di un uomo, come si dice di polso. Il ritorno di Engels fu il toccasana che guarì ogni male. Egli si dimostrò subito buon dottore anche in po­litica, e fu immediatamente inve­stito dell’incarico di responsabile del movimento comunista fabrianese.

Convocò i capi cellula e predi­spose il lavoro e la propaganda con abilità di vecchio organizza­tore. Instancabile, di una attività prodigiosa, infuse nuova energia alla nostra vita cospirativa, con un unico immediato fine: "restare uniti per abbattere definitiva­mente la belva fascista".

Tutti i compagni si rimisero rinfrancati all’opera ed egli quo­tidianamente ci assisteva e ci gui­dava con l’esempio e l’ ammoni­mento: "fate lavoro di apostolato fra le masse, e dimostreremo che la virtù e la dignità non sono morte per il nostro popolo".

Dopo vent’anni di oppressione e di terrore fascista il nostro par­tito contava oltre ottanta aderenti pronti a tutto arrischiare a tutto osare.

Egli ne era orgoglioso. Ci riu­niva a piccoli gruppi nel suo ga­binetto di lavoro sotto le spoglie di clienti, due tre volte per set­timana.

Era buono con noi, ma esigente nella disciplina e puntualità.

Se qualche volta la discussione ci riscaldava, egli ci ammoniva pacato, leggermente ironico. Un giorno che io gli esternai la mia diffidenza per gli intellettuali, se ne risentì quasi come per una questione personale "Io sono nato, mi disse, da autentici proletari, e la tradizione rivoluzionaria della mia famiglia è la garanzia mi­gliore per la sincerità della mia lotta; non sono certo da confon­dere con quegli intellettuali di cui giustamente sospetti".

Caro Engels, se v’era uno che meritava incondizionata fiducia quell’ uomo eri certo tu La fiducia dei compagni e la fede nell’Idea tu l’hai suggellata col sangue!

Modesto per natura ed educazione, non disdegnava accostare il più misero degli operai perché, diceva "si può imparare anche dall’esperienza del più umile la­voratore".

Dopo l’8 settembre la sua atti­vità non conobbe più limiti.

L’organizzazione partigiana as­sorbiva gran parte del suo lavoro; tuttavia non abbandonò l’opera ri­costruttiva del partito e la pro­paganda nel popolo. Certo le for­mazioni dei guerriglieri lo assil­lavano negli ultimi mesi della sua vita, come il problema fondamentale dell’ora ; e se il suo esempio fosse stato più compreso e seguito e molti giovani non si fossero ab­bandonati all’ignavia ed all’oppor­tunismo, ben altri frutti avremmo potuto raccogliere nel nostro eroico movimento e forse la sua vita stessa sarebbe stata risparmiata.

Comunque egli è caduto con la fiaccola dell’idea stretta nella mano; quella fiaccola che egli agitò nelle tenebre di quell’epoca e che ora illumina la giusta via da seguire per un avvenire di pace e di giustizia.

Ancora ricordo la frase finale di un suo volantino: "I fascisti hanno condotto il popolo italiano alla rovina; ora vogliono anche martoriarlo; i fascisti sono belve…"

E la belva non si smentì, quando pochi giorni dopo, compiva il grande misfatto. Il nostro Engles cadeva vittima della bestialità caina dei sicari del fascismo.


LA PASSIONE

II giorno 13 aprile si alzò di buon mattino; doveva incon­trarsi con alcuni compagni di cospirazione.

Si avviò verso la Serraloggia, dove lo attendevano gli sgherri fascisti che, da giorni lo cer­cavano. Una spia, messa sulle sue traccio, lo additò ai futuri carnefici.

Venne condotto al comando della guardia repubblicana. Il comandante tenente Gobbi gli fece le prime contestazioni fra insulti, minacce e percosse.

Il giorno appresso venne affidato ai carabinieri intanto che venivano esperite le indagini. Dopo tre giorni un altro lungo estenuante interrogatorio. Egli non aveva nulla da dire; si chiuse nel più completo silenzio. Comprese che i suoi nemici non avevano nulla di positivo contro di lui.

Sperò quindi di cavarsela con pochi giorni di fermo e qualche violenza.

Ma i fascisti che non potevano estorcergli una confessione per giustificarne la fucilazione, ten­tarono ancora una volta la sera del 22, con la violenza e le se­vizie.

Tutto inutile.

Nella mente del Gobbi, mentre illudeva la moglie implorante e i famigliari piangenti con promesse e menzogne, si maturò l’orribile assassinio.

La sera stessa il nostro Engles tutto pesto e ferito veniva caricato sopra un camion e nel buio della notte, nel deserto della strada di Cancelli, veniva falciato da una raffica di mitragliatrice.

Il suo corpo abbandonato nella scarpata della strada rimarrà per due giorni nascosto agli occhi dei vivi, mentre la iena Gobbi illuderà ancora i famigliari affermando che il loro congiunto era stato trasportato alle carceri di Iesi.

Solo il 24 gli occhi casti di un tenero fanciullo, inorridiranno davanti al grande misfatto.

La pietà dei parenti raccolse i resti straziati del povero Engles e li trasportò in silenzio nella pace del cimitero.


RICORDO DI QUADRANI-LAUREATI

E per il nostro grande martire rievochiamo, compagni, a imperi­tura sua gloria; il canto funebre della rivoluzione russa, che ben si addice al suo sublime sacrifizio.

Sei caduto come una vittima
Nel tuo fattile combattimento,
Una vittima di una devozione senza fine.
Hai dato tutto quello che avevi
Per il popolo che amavi.
I tuoi affetti, la tua libertà e la tua vita.

E. QUADRANI.

Il concetto medico-assistenziale di ENGELS PROFILI

Agire sulle origini e sulle cause con la completa assistenza sanitaria preventiva e profìlattica; combattere in germe, tutte le manifestazioni antisociali, non per comprimere la sana personalità dell’individuo, ma per li­berarla in tendenze socialmente utili di armonia e di solidarietà.

Nella assistenza di ognuno é l’assistenza di tutti, e la mano che si porge fraterna a rialzare il caduto, a sorreggere il colpito, compie il miglior gesto di difesa di tutta la compagine umana.

LAMBERTO LAUREATI


RICORDO DI UN COLLEGA

La sua attività, medica specia­listica fu un motivo ideale della sua personalità: rimanere in mezzo al popolo più misero per assisterlo nella tremenda falciatura della tubercolosi. Il suo gabinetto for­nitissimo di libri e strumenti di studio era la sua passione, la sua piccola repubblica ideale. Se la vita del medico è per solito così brutalmente faticosa e ango­sciata, che per lo più mancano tempo e voglia di procurarsi af­finamenti allo spirito, Egli sapeva trionfare di questa fiacchezza e trovare sempre in una filosofia semplice e umane le risorse per elevarsi. Era un taciturno, ma dalla sua bocca uscivano ogni tanto frasi incisive, frutto d’un ragio­namento interiore perfetto e di un travaglio critico ammirevole.

Huxley affermava che noi do­vremmo abituarci al dubbio, la­sciarci invasare da questo dèmone benefico per non cedere troppo agli allettamenti di ciò che appare facile e semplice. Ma non fu solo l’educazione mentale il fine pre­cipuo del Nostro compagno; egli ci ha dato anche un mirabile esempio dell’alta dignità cui deb­bono tenersi l’opera e l’ufficio del medico.  "La nostra gloria è la testimonianza della nostra co­scienza" potrebbero con S. Paolo dire i medici veri, e noi vorremmo che tutti lo potessero dire come Engels Profili.

Se il valore del medico sta nel­l’ attrazione pratica del sapere a vantaggio sociale, dal riconosci­mento e della gratitudine del po­polo tutto di Fabriano, noi pos­siamo misurare la Sua perizia, non sulla esibizione verbosa di magiche teorie, ma nella essenziale pratica conclusiva dei fatti. Senza cattedratico tono scientifico, ma con severità di studi, onestà di intendimenti, profondità d’inda­gini, Egli ha profuso tesori di sapere e germi di bontà.

*R GAROFOLI


Ultimi scritti di Engels

. . . quando noi vediamo che questa nostra Italia ridotta per i combat­timenti casa per casa, strada per strada, ad un cumulo di macerie, soltanto perché un bieco, folle tiranno isterico invasato dalla furia di distruzione, ha decretato morte e ruina alla nostra Patria e vi manda a macellarsi le sue moribonde orde; quando noi vediamo crollare ad una ad una tutte le nostre città schiantate dalle cieche bombe aeree; quando noi vediamo i nostri fratelli cacciati dalle loro case, dispersi, so­spinti senza posa di paese in paese, a brandelli, affamati ; le donne tre­manti, i bimbi urlanti, i cannoni alle loro spalle, gli aeroplani sulle loro teste, terrorizzati, abbrutiti; quando noi pensiamo che verrà l’ora in cui noi avremo la stessa sorte, oh allora se siamo giovani, se veramente questa nostra gioventù è irrorata di quel suo sangue generoso e caldo, se le vigliaccherie e le ipocrisie non l’hanno ancora ovat­tata, chi ci può trattenere dal gri­dare frementi col nostro Leopardi "l’armi qua l’armi"…

...sorgono continuamente i partigiani, i patrioti ; sorgono e cadono col sorriso sulle labbra irrorando la terra col loro sangue generoso.

Quanti sono? Sono tanti? Sono pochi?  Non importa il numero.

Quando i fratelli Bandiera, Pisacane, Garibaldi, i martiri di Bel­fiore, gli uomini delle Cinque gior­nate di Milano, di Brescia parti­vano, combattevano e morivano, non si contavano ; erano trecento erano mille, che vale ? Era il loro coraggio, era la loro idea che era forte, bella, immortale. Tutta l’Italia era con loro e non é bastato tutto il piombo dei Borboni e tutta la corda degli Asburgo a soffocare, a strangolare l’ « idea » per la quale morirono i più forti, i più belli figli d’Italia.

... pochi animosi partigiani, lottano e muoiono per additare il cammino ai pavidi, agli opportunisti, ai ragionatori, ai timidi, ai chiacchieroni, agli egoisti per incitarli a muoversi ; non hanno odio contro di loro, sorridono e chiamano : venite con noi, aiutateci anche voi ; lasciate le vostre mamme, esse vi benediranno perché non vi sapranno vili; lasciate le vostre case ; vi accoglieranno i belli e selvaggi monti d'Italia ; non ci può essere pace quando stranieri e traditori gavazzano sulla nostra Patria ; non vi attaccate alla vita quando essa diventa "una abbiezzione".

Per ogni tedesco che cade per ogni fascista che muore, per ogni spia schiacciata, si abbrevia l’ora della nostra liberazione !


Un ” Uomo Nuovo”

La spiritualità di Engels Profili frange e supera i con­sueti limiti dell’uomo di parte.

Si può essere il soldato di un’idea e dare tutto ad essa, pensiero, attività, ricchezze ; si può, per questa idea, tra­scurare i doveri verso la pro­pria casa e verso sé stessi; si può diventare il transfuga d’un cenacolo o d’una classe, rinunciare ad amicizie e a conoscenze care ; si possono affrontare e sopportare con virile fermezza delusioni, sacrifìzi duri, amarezze infinite. Ma non è tutto.

Quanto è detto sopra non è che l’esercizio comune della politica onestamente in­tesa, il lato esterno, materiale di essa quale l’uomo della strada e il grosso pub­blico vedono dal di fuori e che desta, a seconda dei casi, consenso, rispetto, ammira­zione, oppure censure, disap­provazioni, odi tenaci.

C’è, però, un’ora ed un punto in cui l’uomo politico riesce a staccarsi dalle cure non sempre belle e non tutte serene della battaglia quoti­diana e s’innalza ad un suo più nobile mondo interiore, in un clima di superiore per­fezione, nei quali egli già si sente cittadino della futura ideale repubblica. Egli è al­lora interamente un ” uomo nuovo ” senza più scarti .e residui che lo leghino al pas­sato, perché nel suo animo tutti gli ormeggi son già ta­gliati e tutte le tappe bru­ciate e risolte. La struttura di questa presente società non ha più senso ; se ne constatano anzi le brutture, le colpe, le orribili profonde ingiustizie ; si vive fuori di essa, oltre di essa, in una proiezione di tutto il nostro essere in quella che sarà – e che per noi già è – la civiltà socialista. Ci si muove nel­l’atmosfera del nuovo mondo purificato con la sicurezza d’una maturazione raggiunta: la città futura non è più un sogno, ma una costruzione reale ; essa esiste.

Pochi, pochissimi sono gli esseri privilegiati che rag­giungono anticipazioni tanto allucinate ed assolute, pro­prie dei precursori e dei santi.

E’ ben naturale che quando la posta del gioco tocca cul­mini così alti, i pericoli reali, le rabbie dell’ avverso mondo borghese, le sue imboscate, i suoi crimini non si avver­tono più. D’intorno tutto è fradicio e decrepito e sap­piamo che è destinato a mo­rire. Che cosa significa una vittima, un martire di più o di meno ? La nostra vittoria è certa ; la nostra consape­volezza, il nostro orgoglio sono già al di là della morte.

E’ questa l’ora in cui lo spirito é tutto. La stessa vita fisica, la nostra povera vita d’uomo singolo, non ha più peso e valore. Allora la si regala con un sorriso, in un gesto d’amore per tutti gli oppressi, quel gesto che i filistei non capiranno mai e che sempre guarderanno in­sensibili. Morire per un’idea! Pare l’assurdo e non è che l’ir­refutabile testimonianza della grande alba che spunta. Engels Profili è morto così.

LUIGI BENNANI


ANNO II - LA RISCOSSA - APRILE 1944

IL dottor ENGLES PROFILI BARBARAMENTE TRUCIDATO DAI FASCISTI

Fabriano, 26 corr.

La nostra città, già desolata da numerosi bombardamenti aerei e dal­le continue provocanti gazzarre fa­sciste, è ora sotto l′ incubo di uno dei più orrendi misfatti: l’assassinio del dottor Engles Profili, giovane e distinto professionista fabrianese.

La notizia si è diffusa ieri martedì , allorquando l’ autorità è stata avvertita che nelle vicinanze di Can­celli, a circa cinque chilometri da Fabriano, da un ragazzo che transi­tava in quel punto, era stato scorto sul fondo della scarpata laterale del­la strada, il corpo esanime di un uomo.

Sopravvenuti i carabinieri e quin­di il pretore, il cadavere venne ri­conosciuto per quello del dottor Profili, e quindi rimosso e portato con una lettiga all’ ospedale cittadino.

Il medico di servizio ha subito dichiarato che la morte doveva esse­re avvenuta due o tre giorni prima, ed ha constatato sul corpo, escoria­zioni e lividure, oltre a dieci perfo­razioni di proiettili nell’addome senza perdita di sangue; ciò ha fatto concludere che il mitragliamento è stato fatto dopo la morte.

La salma consegnata alla desolata famiglia venne pietosamente ri­composta e quindi frettolosamente tumulata nel cimitero di santa Maria.

La ricostruzione del brutale e vi­le assassinio é stata presto fatta.

Da circa quaranta giorni si sono accasermati nell’ edificio dell’ Istitu­to industriale cittadino, un centina­io di militi fascisti, loschi figuri racimolati fra il vecchio squadrismo e la zavorra più incosciente della traviata gioventù del littorio.

Mandati quassù con la solita scu­sa di rimettere l’ordine turbato dai partigiani, si sono, senza ragione, sca­gliati contro la popolazione con in­timidazioni, minacce e violenze.

Rispettabili ed innocui cittadini vennero maltrattati ed imprigionati, mentre per le vie si ripetevano pro­vocazioni e sparatorie senza che mai le autorità tutorie, carabinieri e questura pensassero ad intervenire.

Circa dieci giorni fa, mentre era in giro di visite, venne fermato dai fascisti anche il dottor Profili e condotto al comando. Noto per i suoi sentimenti antifascisti, venne incol­pato di non si sa quali addebiti po­litici, ma nulla risultò a suo carico.

Trattenuto per ulteriori indagini, sabato sera 22 corr. venne nuovamen­te interrogato. Qui si perdono le notizie sicure sul suo conto.

È probabile che gli inquisitori per estorcergli qualche confessione, ab­biano adoperato, come è loro costu­me, la violenza e la tortura. La ve­rità è che egli soggiacque alle se­vizie e i fascisti si trovarono inopi­natamente davanti ad un cadavere.

La vigliacca paura delle insorte responsabilità, fece, come al solito, perder la testa agli assassini.

Nel buio della notte un autocarro con la vittima si dirigeva verso Can­celli; una raffica di mitraglia doveva nella mente dei carnefici imbrogliare le ricerche. Ma chi non sapeva che il povero amico nostro, era da dieci gior­ni ostaggio nelle loro mani ? E’ ap­punto qui che la malvagità dei fasci­sti si rivela nella forma più spietata.

Nato nel 1905 da probi artigiani fabrianesi, per la forte inclinazione allo studio e la viva intelligenza, fu mandato alle scuole superiori ove se­guì la facoltà di medicina. Già da studente, per il suo schietto carat­tere militava apertamente nei par­titi d’ avanguardia; per cui fu sor­vegliato dalla polizia e quindi dai fa­scisti mandato al confino.

Fu negli anni di captività all’isola che egli si preparò alla laurea ottimamente su­perata a Roma. Ritornato a Fabriano, si impose subito per la particolare preparazione scientifica. Dotato di carattere integro e sereno, corte­se con tutti era benvoluto dalla po­polazione, stimato dai colleghi, ama­to dagli amici rispettato dagli avversari. Per le rare virtù di cuore, per i sentimenti veramente altruisti­ci, per le doti intellettuali, poteva venire additato a modello come cit­tadino e come professionista.

I giovani specialmente più che un compagno lo consideravano un maestro.

Ma la bestia fascista doveva sfogare appunto contro di lui tutta la sua acredine, perché era il migliore. Gli assassini di Profili sono gli stessi che hanno trucidato Matteotti, costretti dal peso stesso del loro de­litto a liberarsi dei cadaveri delle stesse loro vittime, nella Quartarella di Roma, o nelle fratte di Cancelli. Quattro lustri di nefandezze, una serie ininterrotta di efferati omicidi ci ha regalato il regime mussoliniano, col sacrificio dei migliori.

Poche settimane ancora e poi an­che le nostre Marche vedranno la fine di questo martirio e saremo libe­rati dall’ incubo che ci sovrasta; e anche noi potremo liberamente sfo­gare il nostro dolore, e onorare il tuo martirio.

Per la soave memoria che costudiamo di te, caro compagno; per il cordoglio che ci unisce e ci affratella alla sventurata tua consorte, ai bim­bi orbati dal tuo affetto, ai vecchi genitori di cui eri orgoglio e vanto, all’ amato fratello, tutti egualmente colpiti dalla tragica tua dipartita, noi posiamo oggi i fiori più belli della nostra fraterna amicizia sulla tomba che custodisce il tuo corpo marto­riato, e porta il nome ormai immor­tale di ENGLES PROFILI.

Il comitato costituito per le postume onoranze al dottor Profili, ha aperto una sottoscrizione, per un ri­cordo marmoreo da erigere e nella sala dell’Istituto ove venne immolato.

L’ Istituto Industriale stesso, por­terà d’ ora in avanti, il nome del martire fabrianese.

La Riscossa-Fabriano liberata

 
Engles Profili 2010 - Pubblicazione a cura di Lykonos