Resistenza - Le repubbliche partigiane |
cronologia.leonardo.it/storia/tabello/tabe1649.htm Le repubbliche dell’Italia partigiana Le Repubbliche partigiane furono isole di libertà.. Momenti di storia con luci e ombre, entusiasmi e paure. Il 18 maggio del 1944 le truppe alleate sfondano lo schieramento tedesco a Cassino. Al nord si avvicina la data di scadenza della chiamata alle armi sotto i gagliardetti della Repubblica sociale italiana: entro il 25 maggio Mussolini vuole riavere le sue legioni ma molti giovani disertano e raggiungono le formazioni partigiane. Il 4 giugno a Roma, lungo i Fori imperiali, sfilano le colonne corazzate inglesi e americane. E’ un giorno storicamente importante ma anche di grande valore psicologico e simbolico. Le “Giunte popolari comunali”, le “Giunte popolari amministrative”, le “Giunte provvisorie di governo”, i “Direttorii”, i “Comitati di salute pubblica” (sono le definizioni principali dei governi che guideranno le repubbliche) saranno i primi ed effettivi banchi di prova della nuova classe dirigente antifascista. Ma il progetto si scontra con una realtà imprevista. L’offensiva alleata subisce una battuta d’arresto che mette il Clnai e il Corpo volontari della libertà (Cvl) in una situazione politico-militare estremamente difficile. Inoltre la forza dei gruppi antifascisti periferici si rivela inconsistente, il che non è certo un presupposto positivo per una rapida riorganizzazione civile dei comuni liberati dai partigiani; nei paesi sono quasi del tutto assenti i comitati di liberazione nazionali e i partiti. Quest’ultimo aspetto della situazione fa sì che nella storia delle “zone libere” spesso il governo venga inevitabilmente assunto dalle formazioni partigiane attraverso i comandanti militari e i commissari politici, specie in “quelle plaghe montane che parevano precluse ad ogni vita attiva, dove vivevano genti che il fascismo aveva tenuto nell’ignoranza perché non conoscessero i loro diritti e non trovassero la via per difenderli” (dalla pubblicazione clandestina “Il combattente” del 21 luglio 1944). Lo ribadisce nel gennaio 1944 Luigi Longo, vice-comandante del Corpo volontari della libertà, comandante generale delle Brigate Garibaldi e membro del Clnai, chiedono ai partigiani che presidiano intere zone del Cuneese, della Valsesia, del Friuli e dell’Emilia di “esercitarvi sistematicamente il potere dando autorità al popolo”. Le prime repubbliche nascono in questo zodiaco di incertezza, difficoltà, contraddizioni, confusioni. Un esempio tipico è quello della Val Ceno dove non si va molto oltre il presidio del territorio, malgrado, come si legge in un dattiloscritto dell’archivio del Clnai, “in ogni Comune siano stati nominati democraticamente un sindaco e un consiglio municipale”. Le ragioni di questo fallimento si comprendono leggendo la relazione di un comandante partigiano della Garibaldi, relazione firmata semplicemente Ferrarini: “I sacrifici di lunghi mesi di montagna, la mancanza di una buona preparazione politica, l’eterogeneità delle forze, hanno reso un po’ acri i rapporti tra i garibaldini e la popolazione civile. La povertà dei mezzi dei nostri patrioti, la scarsa sensibilità politica dei montanari della zona, la loro paura per un eventuale rastrellamento non hanno permesso una cordiale convivenza e quindi la liberazione si è trasformata in una vera occupazione” Nella “zona libera” del Val Taro non esiste traccia di governo democratico. Il 13 luglio 1944 La Nuova Italia, che nella sotto testata si definisce “Giornale del territorio libero del Taro”, fa una constatazione indicativa: “Elementi iscritti e militanti tra le file del partito fascista repubblicano sono ancora nelle amministrazioni comunali della zona. Un provvedimento radicale per evidenti ragioni di necessità pratica non è stato opportuno attuare. Codesti signori sono rimasti ai loro posti solo per la magnanimità dei patrioti, non per altro”. Ma nelle altre aree i risultati sono più positivi. Nelle Valli di Lanzo il comando della II divisione Garibaldi, non appena preso possesso della zona, lancia un appello ispirato alla linea dettata dal Clnai: “Le amministrazioni fasciste debbono essere sostituite da nuove amministrazioni democratiche, vere rappresentanti degli interessi della popolazione”. In questa zona appare le figura del commissario civile che, in posizione autonoma rispetto ai comandi militari e ai commissari politici, prende contatto con le personalità più rappresentative dei vari centri della zona e forma le Giunte popolari comunali (Gpc). L’esperienza della repubblica di Montefiorino ha connotati più precisi. Indicativo in questo senso il verbale della prima seduta della giunta di Montefiorino: “L’avvocato Mussini, richiamandosi alla legislazione vigente fino al 1921 ed ai principi democratici, esprime il concetto che l’amministrazione comunale, in quanto rappresenta l’espressione e la volontà del popolo, deve riprendere il carattere di autarchia nel senso più lato della parola”. E’ chiara la rivendicazione delle autonomie locali abolite dalla legislazione fascista, com’è chiaro che questa rivendicazione è diretta anche nei confronti dei comandi partigiani. “Caso esemplare quello della montagna imperiese. Qui le difficoltà di ordine politico si rivelano particolarmente ardue, né i comandi partigiani riescono ad averne ragione… ma non è tanto l’ostilità latente verso determinati orientamenti di partito quanto la concreta esemplificazione di un chiuso mondo contadino che istintivamente si ritrae di fronte ad ogni precisa sollecitazione di ordine politico” (da Politica e amministrazione nelle repubbliche partigiane di Massimo Legnani, Milano 1978). Il riferimento di Legnani all’imperiese porta a ricordare la brevissima storia della repubblica di Pigna, un piccolo centro delle Alpi marittime che viene liberato il 5 settembre 1944 da una formazione garibaldina. Praticamente nello stesso giorno un gruppo di cittadini comincia a elaborare gli ordinamenti democratici e a formare gli organismi che guideranno la repubblica. Ma questo “periodo esaltante”, come viene definito in un libretto commemorativo edito dall’Istituto storico della Resistenza di Imperia”, dura pochi giorni. Il 18 settembre i tedeschi danno il via a una massiccia azione di rastrellamento che parte dal fondovalle. Da questo momento Pigna resta una repubblica soltanto sulla carta: l’8 ottobre la macchina militare germanica ha ragione delle formazioni partigiane, che sono costrette alla ritirata per attestarsi su posizioni più interne, e Pigna cade nelle mani dei nazifascisti. “Le case bruciano dopo il bombardamento da sembrare il finimondo in Pigna e fuori a Buggio, bruciano divampando dai vicoli e crollano. Mentre Pigna vive la sua brevissima vita, nel vicino Piemonte nasce la repubblica dell’Ossola. Nello stesso giorno dell’occupazione di Domodossola (10 settembre 1944) il comandante della divisione Val d’Ossola insedia la giunta di governo. Non è la procedura indicata dal Clnai ma anche in questo caso il comando partigiano ha a che fare con l’assenza e l’inefficienza dei comitati di liberazione nazionale e la disorganizzazione dei partiti. La partenza teoricamente poco ortodossa non compromette, in sostanza, la validità dell’esperienza ossolana. La giunta infatti dà in tempi brevi la dimostrazione dell’ampiezza e della filosofia con le quali interviene nei diversi settori. Non si limita alla normale amministrazione e, mentre provvede a rimettere in moto la macchina organizzativa, imprime alle proprie decisioni una fisionomia decisamente innovatrice. Nella riorganizzazione dell’attività scolastica e della giustizia supera la visione municipalistica e tende a inserire ogni provvedimento in un disegno governativo di ampio respiro che, mentre rimuove la legislazione fascista, afferma con chiarezza i principi democratici dai quali prende le mosse. Naturalmente il terreno socio-politico sul quale si lavora è irto di difficoltà e le manchevolezze (che un’analisi realistica deve dare per scontate) sono inevitabili. E’ un problema che influisce anche sulla strategia della guerriglia. Nella Storia della resistenza italiana (Torino 1964) Roberto Battaglia ricorda: “L’estrema povertà di mezzi spinge le formazioni, appena si sono date un aspetto organico, ad occupare il territorio più ricco, più idoneo a essere utilizzato come base di rifornimenti, specie alimentari, e a contrastare quindi il passo alle formazioni più vicine, a considerarle come pericolosi concorrenti alle preziose (e spesso uniche!) fonti di vita”. La zona libera diventa così un centro di attrazione non solo per i partigiani, ma per le loro famiglie e per i civili in genere. Tendono a trasferirsi nel territorio anche i contadini con i buoi e con le greggi delle pecore e delle capre: tutti sono certi che i paesi della repubblica siano definitivamente liberati. “Urge il grano che smuoverà certamente quel resto di apatia nella gente”, scrive nella sua relazione un responsabile politico nel territorio carnico. I rifornimenti, ovviamente, non sono facili: la repubblica è un’isola circondata dalle truppe germaniche e dalle formazioni della Repubblica di Salò. In una lettera pubblicata dal giornalista e storico friulano G.A. Colonnello si scrive che, poco dopo la creazione della zona libera, verso il basso Friuli e il Trevigiano “inizia un vero esodo di centinaia di carnici alla ricerca soprattutto di cereali”. A parte i problemi di questo genere la repubblica di Carnia dimostra in particolar modo l’importanza dell’esperienza, la validità del lavoro di autoricostruzione democratica. Certo non mancano le resistenze che nascono dalla cultura tradizionale e dai gruppi di conservatori che vogliono uscire dal periodo fascista ritornando semplicemente alla vecchia società pre-fascista del 1921. La partita si risolve con un compromesso: concessione del voto consultivo, tranne sui problemi riguardanti le categorie direttamente interessate. Tuttavia la dialettica democratica compone e assembla polemiche e divergenze porta a risultati positivi. Lo dimostra la “Relazione della Giunta di governo della zona libera della Carnia nel periodo settembre-ottobre 1944″, scritta da Celestino (Nino Del Bianco), esponente del partito d’azione e membro della giunta. “Facevano inoltre parte del governo le organizzazioni di massa perché si riteneva che per la loro stessa struttura fossero le più adatte a lievitare il popolo ed a farlo più intensamente partecipare alla nuova vita democratica del paese. In ogni Comune venne eletta la Giunta popolare comunale. Il numero di membri variava da cinque a undici, a facoltà della popolazione, più un referente militare, designato d’accordo tra le formazioni partigiane, che aveva funzioni di collegamento tra l’autorità civile e militare. Elettori tutti i cittadini di sesso maschile aventi più di ventun anni, candidati tutti i cittadini di sesso maschile aventi pure superato il ventunesimo anno di età”. La giunta di governo si trova davanti a problemi di non facile soluzione ma, sia pure entro i limiti del possibile, si arriva alla riapertura delle scuole, alla riorganizzazione dei rifornimenti alimentari. I decreti toccano tutti i settori: amministrazione della giustizia attraverso il tribunale del popolo; costituzione della polizia; gestione delle foreste; manutenzione delle strade. Particolarmente interessante il decreto finanziario del 30 settembre-1 ottobre 1944: “La Giunta di governo fece un decreto nel quale venivano abolite tutte le imposte e tasse esistenti e veniva ordinata un’imposta straordinaria sul patrimonio per le spese di gestione della vita civile. Questa imposta partiva dai valori di lire 200.000 (2%) valore dicembre 1939 e arrivava progressivamente al valore di 1.000.000 (8%). Per i patrimoni superanti tale importo la giunta di governo decideva caso per caso. Le liste dei beni venivano fatte dalla giunte popolari comunali e controllate dai comitati di liberazione locali. Il decreto dava quindici giorni di tempo per il pagamento e in tal modo non ci fu il tempo di controllarne gli effetti”.
Il parere di uno studioso di storia della Resistenza Il professor Massimo Legnani s’è laureato in lettere a Milano ed ha insegnato storia del secolo XX all’università di Bologna. E’ stato direttore scientifico all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia ed ha diretto la rivista dell’Istituto, Italia contemporanea. Questa intervista è stata rilasciata alcuni anni orsono, prima della scomparsa dell’illustre studioso. Professor Legnani, quale contributo hanno dato allo spirito della nostra Costituzione le “piccole Costituzioni” delle repubbliche partigiane? Come reagiva la popolazione locale, abituata alla dittatura, di fronte all’esperienza democratica? Quale fu la “piccola Costituzione” più illuminata, più avanzata? Come veniva amministrata la giustizia nelle repubbliche partigiane? Nella repubblica partigiana che posizione aveva la donna? Com’era considerata? Bibliografia
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